CURIOSITÀ
“Laudato si’, mi’ Signore per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.”
di Camilla Baresani
Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni è un libro di concezione unica, pubblicato nel 1961. Partendo dai territori in cui vissero i colonizzatori greci e gli etruschi e arrivando fino al Novecento, Sereni racconta la storia delle mutazioni del paesaggio trasformato dall’agricoltura, con splendidi riferimenti pittorici e letterari.
Quando arriva alla descrizione del territorio ottocentesco della “Padana irrigua”, cita le considerazioni di Carlo Cattaneo, patriota, filosofo e politico repubblicano che (quasi) tutti abbiamo studiato a scuola e cui sono intitolate le vie principali delle città italiane. A metà Ottocento, secondo i calcoli del Cattaneo, il consumo idrico estivo della pianura lombarda raggiungeva i 30 milioni di metri cubi d’acqua, che si diffondevano nei campi attraverso gli schemi geometrici delle rogge. Questo reticolo di canali era così imponente che il Cattaneo parlava della Padana irrigua come di una “patria artificiale”, il cui suolo “per nove decimi” era opera e conquista degli uomini che l’avevano costruito.
Quasi 200 anni più tardi, nonostante le cementificazioni, l’edilizia mangiaterritorio, le tangenziali, gli sversamenti e gli inquinamenti, la Padana irrigua continua a esistere, difesa e mantenuta nel suo ruolo di polmone agricolo che ci procura nutrimento e che, con le sue alberature, ristora l’aria che respiriamo.
A pochissimi chilometri dal Duomo di Milano, attorno all’Abbazia di Chiaravalle, nei territori che un tempo furono parte della grande azienda agricola cistercense, c’è la grande mezzaluna del Parco agricolo Sud, esteso polmone verde di cui sono parte il parco della Vettabia e la Valle dei Monaci.
A differenza dei parchi urbani, con le aiuole e le piante ornamentali, concepiti unicamente per lo svago dei cittadini, l’anima di questo grande spazio verde è doppia: a disposizione per le passeggiate e le gite in bici, ma coltivata a mais, erba, cereali e riso. In pratica, c’è un’utilità anche pedagogica per chi utilizza il parco per il tempo libero: ci ricorda da quanto lavoro e da quanta “patria artificiale” arrivi il cibo che compriamo al supermercato in versione sterilizzata e imbustata.
Sempre ricorrendo alla definizione del Cattaneo relativa a quel suolo per nove decimi addomesticato e costruito dall’uomo affinché la natura sia più possibile produttiva, eccoci al depuratore di Nosedo, il più grande dei tre di Milano, situato presso la roggia Vettabia. Sappiamo che l’agricoltura dipende dal nutrimento di acque e fertilizzanti, e questo depuratore ha la capacità di trasformare 150 milioni di metri cubi di acque di scarico (prodotte da 1 milione e 250 mila abitanti della zona centro orientale di Milano), rigenerarle e restituirne il 99 per cento all’agricoltura. Così, i canali che forniscono irrigazione per l’attività della novantina di fattorie dei dintorni, diffondono nei campi le acque fornite dal depuratore. Inoltre, i fanghi di risulta, che contengono azoto, fosforo e carbonio vengono disidratati e utilizzati come fertilizzanti.
Quel territorio padano che dopo il 1100 venne pazientemente strappato agli acquitrini e alle paludi dai monaci cistercensi e, una volta bonificato, fu reso altamente produttivo, oggi, molto più popoloso, molto più cementificato, nel mezzo di considerevoli cambiamenti climatici continua a essere irriguo e fertile anche grazie all’apporto di queste acque depurate.
Prima del depuratore, che è entrato in funzione nel 2004, i contadini per irrigare i campi usavano le acque fognarie, più o meno miscelate con acqua di falda. Grazie al depuratore, la qualità dell’acqua utilizzata ha migliorato sensibilmente la qualità della vita di chi lavorava nei campi e abitava nelle zone limitrofe (niente più miasmi) e ha ovviamente migliorato anche la qualità del raccolto.
Il depuratore di Nosedo è gestito dalla MM Spa, società pubblica che progetta e realizza le metropolitane milanesi, gestisce il patrimonio immobiliare residenziale del Comune di Milano ed è responsabile del servizio idrico urbano e della seconda vita delle acque di scarico prodotte nelle abitazioni milanesi. L’impianto dà lavoro a 40 persone ed è attivo 24 ore su 24.
È interessante partecipare alle visite gratuite che ne spiegano il funzionamento, organizzate per scuole, atenei e associazioni. L’ampia area in cui si esplicano le attività del depuratore prevede trattamenti fisici per rimuovere oggetti grossolani e la dissabbiatura e disoleatura, per rimuovere sabbia e sostanze oleose. Segue un trattamento biologico al cui termine l’acqua risulta pulita, quasi potabile. Superati i controlli microbiologici l’acqua è distribuita per il riuso agricolo. Il lavoro non termina qui: i fanghi estratti dalle acque fognarie, vengono disidratati e resi utilizzabili sia come fertilizzanti sia trasformati in combustibile per i cementifici.
In pratica, durante le visite, si assiste a una complessa lavorazione che trasforma qualcosa di inquinante in qualcosa di nutriente. Siamo dunque nell’ambito della sostenibilità ambientale, di cui tanto si parla senza però poi mai avere idea di come sia applicabile, di quali ne siano i processi e le possibilità. È una materia contemporanea estremamente affascinante, a maggior ragione se ne vediamo la complessità non solo tecnica ma anche storico ambientale: la grande città contemporanea, che consuma e scarta; l’agricoltura, prima forma di lavoro e di produzione inventata dall’uomo agli albori della civiltà; la trasformazione di un territorio paludoso e malsano operata a partire da quasi mille anni fa da monaci cistercensi che ancora oggi continuano una tradizione di lavoro, conservazione e preghiera nell’Abbazia di Chiaravalle.