CURIOSITà
Il banchiere Mattioli.
di Camilla Baresani
Un carro percorre gli Appennini per valicarli. È il 1134. Furbescamente, il diavolo si sostituisce a una ruota contando di non essere visto dal passeggero, un monaco francese, Bernardo. Viaggia dal Concilio di Pisa verso Milano, dove ha il compito di ricondurre la città sulla retta via. Il monaco, abate di Clairvaux, deve convincere gli scismatici milanesi a sostenere papa Innocenzo II anziché l’antipapa Anacleto II. Per tormentarlo e ostacolarlo, il diavolo cerca di far uscire di strada il carro. L’abate, invece, si accorge del tranello e ancora una volta lo sconfigge.
La scena del demonio che si fa ruota è intagliata in una delle formelle del coro ligneo dello scultore Carlo Garavaglia, grandiosa opera in stile barocco lombardo scolpita per l’Abbazia di Chiaravalle. Ma sono innumerevoli le leggende e le rappresentazioni artistiche che vedono san Bernardo stanare e sottomettere il diavolo nei luoghi dove ha viaggiato e fondato monasteri. Tanto che, nell’Abbazia di Chiaravalle, fondata da Bernardo dopo aver concluso vittoriosamente la missione milanese, si trovano più rappresentazioni del diavolo irretito e soggiogato dal santo che di Gesù.
Storicamente il diavolo è associato al denaro, alla finanza, all’attività delle banche. Lo sterco del diavolo (ossia il denaro) è il titolo di un celebre saggio dello storico medievista Jacques Le Goff: racconta come nell’iconografia medievale il simbolo della pecunia sia rappresentato dalla borsa appesa al collo di un uomo, che sta per sprofondare nell’Inferno. Quell’uomo, un prestatore di denaro, oggi sarebbe un banchiere. Nel medioevo, come scrive Le Goff, “la Carità contava più del Mercato” e la società cristiana ripudiava la ricchezza.
Demonio e banchieri hanno continuato a essere associati anche nei secoli successivi. A Trento, c’è il cosiddetto Palazzo del Diavolo, fatto costruire dal banchiere e discendente di banchieri George Fugger, nel 1602. Il famoso (per l’icasticità degli aforismi) Dizionario del Diavolo di Ambrose Bierce, pubblicato nel 1906, alla voce “Finanza” dice: “Arte o scienza della gestione dei ricavi e delle risorse per il maggior vantaggio di chi le gestisce”. E un più recente Dizionario del Diavolo – Manuale per comprendere le crisi finanziarie dello storico e giornalista finanziario Edward Chancellor, alla voce “Banchieri” scrive: “Persone che prestano il denaro degli altri in cambio di una commissione. Originariamente interessati al ritorno del capitale, oggi interessati solo alla commissione”.
Curioso dunque che, con tutte le chiese di Milano e dintorni, proprio Chiaravalle, con la sua dedizione alla lotta al diavolo, sia stata scelta dai più prestigiosi banchieri italiani come chiesa d’elezione. A partire dall’erudito e illuminato Raffaele Mattioli, detto “il banchiere umanista”, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana (la COMIT), mecenate di scrittori (Gadda), bibliofilo e gran sostenitore e finanziatore di Enrico Mattei, di cui oggi si torna a parlare per il meloniano “Piano Mattei”. Per quanto laico e probabilmente massone come lo furono gran parte delle élite laiche e antifasciste, alla sua morte, avvenuta a Roma nel luglio del 1973, il banchiere volle essere sepolto anziché nella tomba di famiglia del Cimitero Monumentale di Milano, in quello ben più nascosto dell’Abbazia di Chiaravalle. A ricordare lui e la moglie Lucia Monti, una lastra di marmo sdraiata nella porzione di prato antistante l’edicola dove, nel 1281, erano state sepolte le spoglie di Guglielma di Milano. Le ossa della donna, venerata predicatrice dichiarata eretica nel 1330, vennero quindi portate via e probabilmente messe al rogo, per estirpare il fenomeno di culto di cui la mistica era oggetto.
Nel medioevo, i membri in vista delle famiglie più mecenatesche di Milano ottennero di esser sepolti nel cimitero dell’Abbazia: gli Archinto, i Della Torre, i Pirovano, i Terzaghi e altri. Nei secoli a seguire, però, nel piccolo camposanto adiacente alla chiesa vennero tumulati esclusivamente i monaci dell’Abbazia.
Con Napoleone, nel 1798, l’ordine monastico fu soppresso e durante tutto l’Ottocento il convento venne man mano spoliato. Solo nel 1952, 154 anni più tardi, uno sparuto gruppo di monaci poté rientrare nel monastero, che ovviamente necessitava di considerevoli lavori di restauro.
Ed ecco che Mattioli, finanziò una nuova edizione (e traduzione dal latino) dei dieci volumi dell’Opera Omnia di San Bernardo, la ricostruzione di gran parte del chiostro duecentesco andato distrutto durante l’Ottocento e commissionò nel ’75 una statua al celebre scultore Giacomo Manzù. Statua che oggi, perché possa essere ammirata e anche per preservare il candore del marmo di Carrara, ha trovato posto nel transetto di sinistra, adiacente alla porticina che si apre sul cimitero, che non è visitabile. Una statua affascinante e audace per i tempi: una specie di angelo dal sesso indefinito che oggi diremmo “gender fluid”, e che rappresenta la resurrezione dalla morte e il trionfo della vita. Il piede che appartiene al versante maschile è confitto nella roccia, mentre quello femminile è libero. Sulla base della statua è incisa una frase tratta dal salmo 138, EXSURREXI ET ADHUC SUM TECUM, che si riferisce allo svegliarsi e al ritrovarsi. Fu dunque grazie al suo costante sostegno finanziario e culturale che Mattioli ottenne il permesso, e il privilegio, di essere sepolto con la moglie nel cimitero dei monaci.
Tuttavia, l’Abbazia di Chiaravalle è stata rifugio spirituale e luogo di raccoglimento non solo per Raffaele Mattioli, ma anche per altri importanti banchieri che hanno segnato la storia finanziaria italiana: Enrico Cuccia, colto, riservato e frugale, protagonista dello sviluppo economico e finanziario del dopoguerra, che fu condirettore della Comit, amministratore delegato e poi presidente di Mediobanca. E poi: Enrico Beneduce, pure amministratore delegato della Comit, nipote sia di Cuccia sia del fondatore dell’IRI Alberto Beneduce; Alberto Cingano, un altro amministratore delegato della Comit che poi divenne presidente di Mediobanca e vicepresidente di Generali; Vincenzo Maranghi, pupillo di Cuccia, direttore generale e amministratore delegato di Mediobanca. Infine, non un banchiere ma una figura molto vicina al mondo della finanza: Mario Monti, commissario europeo alla concorrenza e per il mercato interno, ministro delle Finanze e capo del Governo, presidente dell’Università Bocconi. Si è sposato nell’Abbazia e la frequenta regolarmente.
Questo gruppo di uomini di finanza ed economia è stato osteggiato da un banchiere romano, Cesare Geronzi, di più controversa reputazione. In Confiteor, libro-intervista del giornalista Massimo Muchetti, Geronzi precisa di “non avere mai partecipato alla messa annuale in memoria di Raffaele Mattioli che Mediobanca organizza all’Abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano. Quei riti, a me romano, sembrano un modo per definire e via via integrare con nuove leve una cerchia di seguaci che vuole essere esclusiva. A fare la selezione naturale è chi, spesso del tutto inadeguato al confronto, si auto elegge a custode dell’eredità di quel grande banchiere e se ne fa scudo”.
Sia come sia, diavoli e pecunia, sobrietà cistercense e fondamentali donazioni, culto di filosofie gnostiche e massoneria, carità cristiana e riservatezza, l’Abbazia di Chiaravalle, così defilata rispetto al cuore della vita milanese, votata in passato alla produzione agricola e lattiero casearia, ha avuto e mantiene un pendant di figure del potere che solo lì, nelle brume del Parco Agricolo Sud, e nella sobrietà monastica cistercense trovano il necessario raccoglimento.