CURIOSITà
Il Cammino della Valle dei Monaci:
Da Milano alla Via Francigena
La parola pellegrinaggio deriva dal latino peràgeo. Andar per campi, girovagare. Nei secoli passati, girovaghi e forestieri erano malvisti perché estranei alle regole dei luoghi che attraversavano. Creavano curiosità, ma anche scompiglio. In mezzo a loro si nascondevano avventurieri, millantatori, prostitute, lestofanti. Il turismo, con i benefici economici portati alle località scelte da chi va in vacanza, è un’invenzione del XX secolo. Un secolo prima del Novecento, quando il concetto di ferie non era ancora stato adottato dalle masse, c’era stato il Grand Tour: i viaggi di un manipolo di aristocratici inglesi che calavano in Italia per completare la propria formazione culturale. Oppure c’era la villeggiatura, con le famiglie di nobile lignaggio che si spostavano nelle loro ville durante la bella stagione.
C’è stata però un’epoca d’oro del pellegrinaggio, in cui il girovago era accolto, rifocillato, benvoluto. Quell’epoca, finita la stagione delle invasioni barbariche e formatisi i principali regni europei, è il medioevo. Attorno all’anno Mille, le strade erano finalmente diventate più sicure e la fede dava una legittimazione religiosa, e anche sociale, allo spirito d’avventura. Santiago di Compostela, Canterbury, Gerusalemme e soprattutto Roma erano le mete di persone di ogni estrazione sociale, dai re ai popolani. I palmieri erano i pellegrini che viaggiavano verso Gerusalemme – e al ritorno portavano un ramo di palma -, mentre i romei erano quelli diretti a Roma. Alcuni viaggiavano con le mani legate, come forma di penitenza. I ricchi a cavallo, i poveri a piedi, qualcuno a dorso di mulo.

La via Francigena, o Francisca, da Canterbury, nel Kent, una volta attraversata la Manica arrivava fino a Roma e poi giù, fino in Puglia, per terminare a Gerusalemme; c’erano poi le vie romee, che portavano dal nord Europa fino a Roma.
Negli ultimi decenni, questo reticolo di percorsi è stato man mano riscoperto, molte vie sono state riaperte e connesse: si è creato un movimento di riscoperta del cammino e del pellegrinaggio come esperienza non solo spirituale ma anche di adesione a un’esistenza meno concitata e meno virtuale, alla ricerca di una salute del corpo e della mente che ci distolga dalla nostra vita appiccicata agli schermi. Oggi camminiamo per sconfiggere il crollo dell’attenzione al mondo esterno, per immergerci nel reale, e anche per contrastare la vita sedentaria. Il pellegrinaggio è turismo dello spirito, è un modo di staccare e ritrovarsi in una dimensione umana, quasi primordiale, sostenibile.

Proprio sull’onda di questo sentire collettivo, della riscoperta del piacere di camminare (e anche di pedalare) è stato ricreato un cammino che dal centro di Milano arriva a ricongiungersi con la via Francigena, passando dall’abbazia di Chiaravalle, e scendendo poi verso sud, fino a Sant’Andrea, nel lodigiano.
È il cammino della Valle dei Monaci, 65 chilometri pianeggianti che partono dalla basilica di San Lorenzo Maggiore, la più antica chiesa di Milano, passano dalla Basilica di Sant’Eustorgio, attraversano la parte sud di Milano e, subito dopo aver attraversato il quartiere Corvetto, si arriva alla chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, di fronte alla cascina Nosedo.
Si entra a questo punto nel Parco Agricolo Sud di Milano, e si segue l’asse del canale della Vettabbia, una roggia che dal centro di Milano arriva a immettersi nel fiume Lambro. Ed ecco il borgo di Chiaravalle milanese, l’Abbazia cistercense, il mulino, e la cappella di San Bernardo che, nel Quattrocento, era adibita a chiesa per le donne, e nel Settecento diventerà invece la spezieria, ossia la bottega-laboratorio dove i monaci vendevano medicamenti a base naturale.
Il cammino a questo punto fa una piccola deviazione allontanandosi dal corso della Vettabbia, per raggiungere l’Abbazia di Mirasole che risale al 1200, ed era retta dall’Ordine degli Umiliati, lo stesso del convento pure duecentesco su cui in seguito venne costruito il complesso dell’Accademia, della Pinacoteca, della Biblioteca e dell’Orto Botanico di Brera.
Si torna poi verso il Lambro, e all’altezza di San Giuliano Milanese ecco l’Abbazia di Viboldone, sempre appartenuta all’ordine degli Umiliati, che erano poi monaci agricoltori e anche tessitori: erano infatti specializzati nella fabbricazione di panni di lana. Oggi invece il complesso monastico è abitato da suore di clausura specializzate nel restauro di libri antichi. Siamo a questo punto al 15esimo chilometro di cammino. Volendo, si può sostare nell’Abbazia, che offre ospitalità anche notturna.
Le tappe successive ci portano a Mezzano, all’omonima cascina, e alla chiesa di Santa Maria delle Nevi. Si arriva poi a Melegnano, alla Basilica di Santa Maria Assunta in Calvenzano dell’XI secolo, e, seguendo il corso del Lambro tra campi coltivati a foraggio, canali irrigui, filari di alberi a delimitare i confini dei campi, tipiche architetture delle cascine del lodigiano (le corti), stalle, ci troviamo in piena zona di produzione del Grana Padano. Stiamo ancora percorrendo la grande estensione del Parco Agricolo Sud. Si arriva poi a Tavazzano, e si prosegue per Lodi Vecchio, fino alla trecentesca Basilica d San Bassiano. Sinora, abbiamo camminato (o pedalato), per circa 35 chilometri.
Gli ultimi 30 chilometri del cammino della Valle dei Monaci passano dalle fornaci di Borghetto Lodigiano e arrivano al Po, precisamente alla Corte Sant’Andrea, un complesso colonico citato da colui che viene ritenuto l’inventore del pellegrinaggio e della via Francigena, Sigerico di Canterbury.
Sigerico, nel 990 era stato eletto arcivescovo della capitale del Kent. Per sancire la carica, doveva però ritirare dalle mani di papa Giovanni XV il Pallium, che simboleggiava la dignità arcivescovile. Così, si mise in cammino verso Roma. Durante il viaggio di ritorno verso Canterbury, Sigerico tenne un diario in latino in cui, dopo aver annotato i nomi delle chiese visitate a Roma, descrisse i 79 giorni del cammino con i relativi punti di sosta – cioè le mansiones, che erano poi le stazioni di posta. Di fatto, per la prima volta nella storia, l’arcivescovo creò una guida che oggi definiremmo turistica, con il percorso di quella che in seguito venne chiamata via Francigena, e che appunto congiungeva Canterbury a Roma. Camminando per 20 chilometri al giorno, Sigerico percorse 1600 chilometri. Il suo straordinario carnet di viaggio in 79 tappe è oggi conservato al British Museum. Una delle tappe, passa proprio dalla Corte Sant’Andrea, dove la via Francigena si congiunge al cammino della Valle dei Monaci.
